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Giuseppe Cottafavi

Oggi, 16 luglio, a 5 giorni dall’operazione subita a causa della ferita infertami giovedì 7 luglio durante lo sciopero, descrivo l’azione terribile alla quale ho assistito. 

Il giorno 7, circa alle ore 16, mi trovai di fronte alla Banca d’Italia, in quell’istante passavano alcuni motociclisti con cartelli recanti scritte contro il governo Tambroni e contri i fascisti, io non avevo cartelli, ma approvavo tutto ciò. In lontananza si udiva un inno partigiano proveniente da un piccolo corteo partito dalle vicinanze della Sala Verdi e che si dirigeva verso di noi, cioè verso la Banca d’Italia; ad un certo punto però il corteo si fermò in Piazza del Libertà perché si sentiva dire che dovevamo avvicinarci alla Sala Verdi perché stava iniziando il comizio. Mentre si discuteva di ciò, noi eravamo seduti sui marciapiedi di fronte alla Banca d’Italia, sentimmo le allarmanti sirene delle camionette della polizia, due per l’esattezza che arrivavano assai velocemente, frenavano di colpo e senza che noi ci fossimo ancora alzati da sedere iniziarono a lanciare bombe lacrimogene. Tutti noi che ci trovavamo da quel lato, fuggimmo sotto il fabbricato nuovo di S. Rocco; fu quando mi trovai a metà fabbricato che sentii raffiche e colpi ripetuti. Non volevo credere che sparassero sui dimostranti ma mi ricredetti quando sentii che vi erano già due morti, uno a pochi metri da me, l’altro nei dintorni della Banca. 

Mi sentii allora bollire il sangue nelle vene e incominciai a gridare “non sparate, siete fuori della legalità”; mentre gridavo mi trovavo dietro ad una colonna sempre sotto il fabbricato di S. Rocco, fu allora che mi presero di mira e incominciarono a sparare all’impazzata, con candelotti sparati con uno speciale fucile, e quando un gran fumo aveva invaso la zona sentii colpi di arma da fuoco, non vidi chi mi ferì ma vedevo da dove sparavano ed hanno seguitato per molto perché i miei compagni non poterono soccorrermi subito ma mi facevano cenno di non muovermi perché se mi muovevo ero perduto.

Chi sparava nella mia direzione erano vestiti di grigio, poco distante da loro, proprio nel mezzo della Piazza della Libertà vi era la pompa idrante con dei celerini distanziati uno dall’altro quasi direi in posizione di guerra. Da quando rimasi ferito, a quando mi sono potuto muovere non saprei dire il tempo intercorso, so solo che ad un certo punto con una mano alla gola grondante di sangue e con la bocca piena di sangue, con una spalla dolorante e immobile mi avvicinai ai miei soccorritori piegato in avanti perché le forze incominciavano a mancarmi, ma ancora sparavano, non distinguevo più da quale parte. 

Mi portarono in un caffè, qui ricevetti le prime cure possibili; poi subito telefonarono alla Croce Verde e con me salì un altro compagno ferito al mento. Nel tragitto per andare all’ospedale passammo davanti alla Banca d’Italia e qui era ancor in corso l’azione di guerra, perché solo così si può descrivere l’azione di giovedì.

Se qualcuno pensasse che potevo rimanermene a casa rispondo che sono orfano di guerra, non ho nessuna medaglia, ma ho il diritto di lottare contro il fascismo e contro chiunque sia al governo e difenda il fascismo, che è stato la causa della distruzione della mia famiglia. Infatti durante una incursione aerea nel 1944 quattro miei cari sono stati barbaramente uccisi, ed io sono 16 anni che lotto contro la guerra e il fascismo e lo farò finché non vi sarà un governo che metta nell’illegalità il fascismo. Questo il motivo per cui sono andato in piazza.


Giuseppe Cottafavi, Dichiarazioni pubbliche dal settimanale “Nuova Generazione” del 23 luglio 1960