Segretariato centrale della Camera del Lavoro, 1910. Da: "Uniti siamo tutto, alle origini della Camera del Lavoro di Reggio Emilia", Litograf, 2001, p.84
Già nei primi anni del secolo la Camera del Lavoro era presente in 35 comuni su 45 e in oltre 200 frazioni della provincia. Questo il racconto dell’assalto squadrista alla Camera del Lavoro riportato sul quotidiano Reggio Democratica il 30 dicembre 1945: "Data l’ora tarda gli impiegati erano usciti e il portone era chiuso. Alcuni squadristi entrati nel Caffè Roma, si calarono attraverso una finestra nel cortile e poterono così aprire il portone ai loro degni compagni. Proprio in quel mentre scendevano dallo scalone, alcuni membri del Comitato della lega carto-librai che avevano appena terminato una riunione. Furono i primi a subire le violenze dei fascisti, specialmente l’anarchico Torquato Gobbi che venne gravemente bastonato. Quindi cominciò l’opera vandalica in tutti gli uffici. Dalle finestre vennero gettati registri, schedari, ritratti, libri e giornali, anche parte dei mobili fu fracassato. I fascisti rimasti in via Farini e in via Serra fecero cataste di tutto questo e vi appiccarono fuoco gridando e cantando. Macchine da scrivere, ciclostili ed oggetti (dei quali, si badi, potevasi ricavare un guadagno) vennero asportati dai puri idealisti della nuova era. … la devastazione era stata completa. Tanto che un reduce di guerra così riassunse le sue espressioni: “mi sembra una delle case venete dopo il passaggio dell’invasione austriaca”. Ma l’opera dei vandali non si fermò qui. Anche al pianterreno i fascisti capitanati da quell’aborto di Bagonghi, fiancheggiato dal ben noto Camellini e da altri degni compari, entrarono nel negozio della Coop Stampa Socialista e dopo aver minacciato con la rivoltella Nino Prandi e la commessa Varini buttavano tutto sottosopra dando fuoco ai libri e ai giornali. Anche qui gli invasori non vollero venir meno alle loro nobili tradizioni già applicate quando devastavano le case del popolo, il Prandi infatti fu derubato dei soldi che aveva nella sua giacca. Infine gli squadristi raggruppatosi intorno a Giacomo Iori, Milton Lari ed altri, si avviavano di corsa verso la sede de “La Giustizia” sparando per aria colpi di rivoltella".